Genitorialità a rischio? Riflessioni tratte dall'esperienza di uno Sportello di Ascolto Psicologico in un Istituto Scolastico.
Sono al mio secondo anno di esperienza come psicologa
presso un Circolo Didattico di Giugliano in Campania (NA) e gestisco uno Sportello
di Ascolto Psicologico aperto ai genitori e figli, oltre che al personale
scolastico.
Le stime delle prestazioni psicologiche tra il primo e il secondo
anno si sono quasi triplicate :
A. S.
2012/1013 (febbraio-maggio)
|
A.S.
2013/2014 (dicembre- marzo)
|
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n. totale
delle prestazioni psicologiche( colloqui ai genitori o al singolo bambino;
supporto, orientamento al personale docente)
|
30
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80
|
n. prese in carico con un minimo di 4 colloqui
psicologici
|
12
|
24
|
Le motivazioni che hanno indotto i genitori, perlopiù
madri, a rivolgersi ad uno psicologo sono disparate. Molti di loro hanno
riportato spesso al primo colloquio conoscitivo la loro titubanza e scetticismo
rispetto alla psicologia e a tutto ciò che comporta il disagio psicologico, e
nonostante ciò erano lì con una richiesta di aiuto, in preda all'angoscia per i
figli.
Sui 24 casi giunti al SAP fino al mese di marzo 2014, circa il 30% portava come
motivazione della richiesta “Disturbo d’Ansia e Fobia Scolare” dei figli; circa
il 60% dei genitori, su suggerimento dei docenti, ha chiesto un aiuto per
difficoltà di gestione dei figli, troppo irruenti, poco aderenti alle regole,
difficoltà di apprendimento. La risultante parte dei genitori è giunto al SAP
in modo spontaneo per usufruire di uno spazio psicologico individuale o di
coppia.
Dall’osservazione di ogni singolo caso, colloquio
individuale, di coppia o familiare, colloqui con il personale docente, mi hanno
spinta ad incuriosirmi sempre di più al mondo dei bambini, a quello che
pensano, al loro punto di vista. I genitori non si sarebbero messi in
discussione in modo spontaneo se non fosse stato per la “sintomatologia” dei
figli. Molti di loro riferiscono spesso con un tono di rassegnazione: “cosa non
si fa per i figli…non saremmo mai giunti qui se non fosse per le difficoltà di
nostro figlio!”
Al primo colloquio
con i genitori mi chiedo sempre: “ma cosa si nasconde dietro alla loro
sintomatologia? Che cosa vuole comunicare alla famiglia?”
La sintomatologia che un bambino o un adolescente può manifestare svolge il ruolo di attivazione di un disagio che riguarda l’intera
famiglia. Nel caso di un bambino, comprendere o ipotizzare la funzione del
sintomo, i meccanismi che hanno portato all’esordio, consente di facilitarne
la risoluzione e migliorare l’efficacia dell’intervento soprattutto nei
confronti della prevenzione delle ricadute o cronicizzazione.
Oggi i terapeuti familiari affidano al sintomo del paziente
designato due funzioni quello che permette
il mantenimento dello status quo oppure che
permette il cambiamento. Funziona pertanto come meccanismo di retroazione che controlla il sistema
riducendo o aumentando la deviazione in uscita dal sistema stesso.
Il sintomo con funzione di conservazione o morfostatica
permette di mantenere la situazione in corso e di prevenire cambiamenti che sono ritenuti
indesiderabili, secondo Loriedo C., infatti, “in questo il sintomo garantisce
il perdurare delle attuali modalità di relazione, considerate meno temibili di
eventuali altre che possono sostituirle”. Alcuni esempi di sintomi con funzione
morfostatica sono, secondo Loriedo C.: per prevenire un cambiamento pericoloso,
per nascondere un fallimento, per
distogliere l'attenzione da una realtà dolorosa, per nascondere un altro
sintomo, o come segnale di un disagio sommerso. Alcuni esempi di sintomi con
funzione di spinta al cambiamento o morfogenetica sono i sintomi come soluzione
di un conflitto, per modificare una situazione insostenibile, o per curare un altro
sintomo.
Tornando all’esperienza vissuta allo Sportello di Ascolto
Psicologico, l’intento degli incontri di consulenza offerta ai genitori è di
ridare voce al disagio della famiglia attraverso il sintomo del figlio.
Il sintomo che ha il suo esordio nell’infanzia o
nell’adolescenza, trova più facile risoluzione se inserito e compreso nella
cornice delle sue relazioni familiari. Attraverso gli incontri familiari si è
ipotizzata una diagnosi relazionale, rinunciando alla ricerca estenuante delle
cause dell’insorgenza del sintomo, a favore di un attento interesse a quello
che il sintomo produce all’interno di determinate relazioni umane e di
orientare la famiglia verso una
possibile uscita dall’impasse.
Bibliografia
Gambini P,
Psicologia della famiglia. La prospettiva sistemico - relazionale. Franco
Angeli, Milano, 2001.
Loriedo C.,
Bogliolo C., Famiglie e psicopatologia infantile. Quando la sofferenza è
così precoce, Franco Angeli, Milano, 2005.
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